Una poesia per Dublino

Oggi vorrei presentarvi una poesia molto famosa su Dublino (intitolata proprio “Dublin”) che è tra le 10 finaliste del concorso “A poem for Ireland” del canale RTE.

Di seguito vi presento il mio tentativo di traduzione mentre potete leggere l’originale qui, o guardare e ascoltare il bel video qui sotto in cui è recitata dal poeta dublinese Stephen James Smith.

Dublin
(di Louis MacNeice, traduzione di Flora)

Grigio mattone su mattone
bronzo che declama
da tetri piedistalli
O’Connell, Grattan, Moore
I rimorchiatori del birrificio e i cigni
nella corrente balaustrata
L’ossatura di una lunetta a ventaglio
sopra una porta affamata
E l’aria dolce sulle guance
la birra scura che scorre
con una schiuma di crema gialla
E Nelson dalla sua colonna
che guarda il suo mondo che crolla.

Questa non è mai stata la mia città
Non sono nato né cresciuto qui
Non ci sono andato a scuola e non
mi avrà, né vivo né morto
Eppure mi occupa la mente
con la sua eleganza trasandata
con i suoi veli gentili di pioggia
e i suoi fantasmi che camminano
E tutto quello che si nasconde
dietro le facciate georgiane
Le urla di protesta e il dolore
il fascino del suo squallore
le chiacchiere spavalde
Le luci ballano una giga sul fiume
con movimenti da fisarmonica
e il sole viene su al mattino
come zucchero d’orzo nell’acqua
e la foschia delle colline di Wicklow
è vicina, vicina
come i contadini lo furono ai proprietari terrieri
come gli irlandesi agli anglo-irlandesi
come l’assassino è vicino per un attimo
all’uomo che uccide
o come l’attimo stesso
è vicino all’attimo successivo.

Non è una città irlandese
e non è inglese
Storica, con fucili e parassiti
e la fredda rinomanza
di un frammento di latino di chiesa
di una frase oratoria
Ma quanto lievi sono i giorni
lievi abbastanza da far dimenticare
la lezione imparata a fondo
la pallottola sulle strade
bagnate, il trattato disonesto
l’acciaio dietro la risata
il palazzo di giustizia incendiato
Forte dei danesi
Presidio dei sassoni
Augustea capitale
di una nazione gaelica
che ha fatto propria
qualunque cosa straniera
Mi dai tempo per pensare
e con un trucco da giocoliere
sospendi l’ora che cade
Grigiore che tutto invade
pietra grigia, acqua grigia
e mattone su grigio mattone.


“Dublin”, scritta nel 1939, è interessante perché fa riferimento a vari episodi della storia della città e dell’Irlanda ed è emozionante, soprattutto per chi conosce già bene la città, perché ne cattura l’atmosfera e l’essenza in tutte le sue sfumature a contraddizioni.
È Dublino, ma vista da un non dublinese, perché Louis MacNeice era nato a Belfast e visse gran parte della sua vita in Inghilterra. Eppure Dublino continuò a “occupargli la mente” e lasciò su di lui un’impressione indelebile.

Nella prima strofa ci presenta immagini ben note della città, alcune ancora presenti, come le varie statue di bronzo di O’Connell, Grattan e Moore, altre scomparse, come i rimorchiatori della Guinness sul Liffey e la colonna di Nelson (fatta saltare in aria dall’IRA nel 1966 e oggi sostituita dallo Spire).
E ancora, le porte delle case georgiane, un tempo abitazioni dei più ricchi, dietro le quali all’inizio del ’900 vivevano invece tante famiglie in condizioni di grande povertà.

Colonna di Nelson


Una città per ragioni storiche né pienamente irlandese né mai proprio inglese, con tante contraddizioni, come la “trasandata eleganza” e “l’acciaio dietro la risata”.
Ma Dublino si redime con la sua aria dolce dietro i veli di pioggia, la foschia dei monti Wicklow in lontananza e la gloria di un passato complicato e pittoresco da cui i dublinesi sono usciti più forti che mai.

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